CSC: fiducia ed export minati dai dazi - Timori per le gravi tensioni geopolitiche
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Secondo un'analisi del Centro Studi Confindustria, l’economia italiana sta affrontando un secondo trimestre segnato da tensioni internazionali e fragilità interne. L’aumento del prezzo del petrolio – risalito a 77 dollari al barile il 20 giugno, dai 63 di maggio – riflette l’escalation del conflitto in Medioriente, che ha spinto al rialzo anche il prezzo del gas in Europa. Questo nuovo shock energetico si innesta in un contesto già compromesso da dazi commerciali e incertezza diffusa.
In Italia, l’industria mostra segnali di tenuta, con una produzione in aumento ad aprile (+1,0%), ma i livelli restano bassi e il clima di fiducia resta fragile. L’export ha subito una battuta d’arresto in aprile (-2,8% a prezzi costanti), penalizzato dalle minori vendite extra-UE, anche se su base quadrimestrale resta in crescita. I servizi, dopo una fase negativa, sembrano in ripresa, sostenuti soprattutto dal turismo e da un miglioramento degli indicatori di fiducia.
I consumi interni restano deboli. Ad aprile le vendite al dettaglio hanno segnato un modesto +0,5% e le immatricolazioni auto risultano in calo a maggio. La fiducia delle famiglie è in discesa da tre mesi. Gli investimenti, dopo un buon inizio d’anno, mostrano segnali di rallentamento nel secondo trimestre.
Sul fronte monetario, la BCE ha avviato il taglio dei tassi, che ha contribuito alla riduzione del costo del credito. Il credito alle famiglie è in crescita, mentre quello alle imprese mostra ancora dinamiche negative, seppur in miglioramento.
Il contesto internazionale resta incerto: l’Eurozona rallenta, con una produzione industriale in calo e fiducia stagnante. Negli USA la crescita è modesta, mentre la Cina è frenata dai dazi, con effetti su produzione ed export, nonostante una ripresa dei consumi interni.
Fonte: Centro Studi Confindustria
Dall’inizio del 2025, il cambio euro-dollaro ha subito una forte oscillazione. Il dollaro si è svalutato rapidamente, passando da 1,04 a 1,16 per un euro a metà giugno (-11,4%). La svolta si è accentuata dopo l’annuncio, il 2 aprile, di nuovi dazi statunitensi sulle importazioni, che ha alimentato l’incertezza sui mercati e segnato una brusca inversione rispetto al rafforzamento del dollaro registrato a fine 2024.
A contribuire al calo del biglietto verde è anche la sfiducia crescente da parte degli investitori verso l’economia americana, in un contesto di politica commerciale aggressiva e tassi d’interesse fermi al 4,50%. Al contrario, la BCE ha proseguito con i tagli, portando il tasso ufficiale al 2,00% a inizio giugno. Questo ampio differenziale (+2,50 punti) avrebbe dovuto sostenere il dollaro, ma l’effetto è stato sovvertito dall’incertezza e dal protezionismo USA.
Per l’economia italiana ed europea, le conseguenze sono complesse. L’apprezzamento dell’euro aggrava l’impatto dei dazi USA sull’export, di fatto raddoppiando la barriera commerciale. Inoltre, la svalutazione del dollaro potrebbe propagarsi ad altre valute, ampliando le difficoltà per l’export europeo in diversi mercati.
Tuttavia, esistono anche effetti positivi. Un euro più forte contribuisce a contenere l’inflazione in Europa, riducendo i costi delle importazioni, in particolare di beni energetici. Ciò sostiene il potere d’acquisto delle famiglie e favorisce un ulteriore allentamento monetario da parte della BCE. Viceversa, negli Stati Uniti il dollaro debole potrebbe frenare eventuali tagli dei tassi, ostacolando la ripresa.
Nonostante le sfide, l’export italiano mostra segnali di resilienza, grazie alla qualità dell’offerta e alla capacità di diversificare i mercati di sbocco.
Fonte: Centro Studi Confindustria
Photo credit: freepik
Fonte: Congiuntura Flash – Centro Studi Confindustria