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Le sfide che si trovano ad affrontare vini e spiriti italiani in questo periodo di ripartenza sono numerose e complesse. Ne parla l'articolo pubblicato oggi su Affari&Finanza del quotidiano Repubblica che riportiamo integralmente.

 

Non trovano pace i vini italiani. Da un lato imitati, anzi imitatissimi, dall'ormai famosissimo Prosek o dai vari Kressecco, Grappagner, Meer-Seecco, Italian Chianti style, Originai Chianti. Dall'altro con un futuro nero che li ipotizza tassati dal fisco per iniziativa (niente di meno) dell'Oms. E inoltre con etichette e pubblicità nel mirino perché accusate di essere un'istigazione al consumo eccessivo di alcol. «In questo momento l'utilizzo di vino e affini è sotto attacco da due punti di vista, quello dell'Oms e dell'Unione europea spiega Micaela Pallini presidente Federvini ma entrambi partono da un punto di vista sbagliato e cioè l'assunto che l'alcol anche se consumato con moderazione è dannoso mentre in Italia è da sempre diffusa una cultura che prevede un bicchiere in compagnia molto più diffusa che un vizio eccessivo e solitario». Cosa potrebbe accadere nel futuro dunque? «La bozza dell'Action Plan dell'Oms e l'Europe Beating Cancer Plan puntano a ridurre entro il 2030 del 20% il consumo mondiale di alcolici e ad introdurre sull'etichettatura delle bottiglie warning messages "prominenti" come quelli che minacciano il cancro sui pacchetti delle sigarette precisa Pallini secondo l'Oms insomma l'abbattimento del consumo dannoso si dovrebbe ottenere stabilendo una riduzione generalizzata pari al 20%, attraverso l'aumento delle imposte fiscali, ma questa rischia di essere una misura marginale verso chi fa uso eccessivo di alcol mentre sarà certamente molto rilevante per decine di milioni di consumatori moderati, milioni di lavoratori (almeno 3 milioni di posti di lavoro solo in Europa), e moltissime imprese, non dimentichiamoci infatti che il vino corrisponde al 10% dei fatturati del settore agroalimentare». La mancata distinzione tra consumo dannoso e consumo moderato, insomma, rappresenta il tratto più controverso dei provvedimenti in discussione. «Noi condanniamo l'abuso e spingiamo ad uno stile di vita corretto, il problema diventa quello dell'educazione al bere e quello che infatti chiediamo al governo è di fare appello a un uso responsabile grazie al combinato delle azioni dei ministeri della salute, esteri e agricoltura». Dello stesso parere è Sandro Sartor presidente di Wine in moderation: «Il punto più grave è puntare a un generico abbattimento del 20% mentre, chiariamoci, nessuno mette in discussione l'importanza di preservare la salute dei cittadini». Meglio: «Noi difendiamo il consumo e mai l'abuso, che indubbiamente deploriamo, ma agire in modo indifferenziato senza lavorare sull'educazione è nocivo per l'economia a lungo termine oltre che inutile. Faccio un esempio: il consumatore moderato resta colpito e si spaventa di fronte ad un'etichetta che gli faccia temere conseguenze catastrofiche mentre chi beve per vizio non si fa certo intimorire da un avviso di pericolo». E ancora: «Noi di Wine in moderation abbiamo sempre lavorato su una cultura che difenda i minori, combatta il bere irresponsabile e collaboriamo con baristi, social e varie categorie per una campagna che promuova un piacere moderato. Adesso i tempi stringono perché ci sono tre settimane da parte dei paesi membri per presentare emendamenti e richiedere mutamenti, poi la linea programmatica proposta dall'Europa diventerà ufficiale e il governo deve agire prima». Altro punto che allarma chi con il vino ci lavora è quello delle imitazioni tarocche. Il cosidetto Italian sounding" (il fenomeno che consiste nell'uso di parole, immagini, marchi evocativi dell'Italia per promuovere e commercializzare prodotti che in realtà non sono made in Italy) si aggira intorno ai 100 miliardi di euro annui, Cosa sta succedendo? Bruxelles, almeno per ora, non sembra difendere il made in Italy. Due i casi più clamorosi: la commissione europea ha detto un primo si al prosecco croato e il commissario Ue all'agricoltura, Janusz Wojciechowski, ha dichiarato che la richiesta della Croazia di ottenere il riconoscimento della denominazione del vino Prosek è conforme ai "requisiti di ammissibilità e validità" e che la Commissione procederà alla pubblicazione della richiesta nella Gazzetta Ufficiale. Altra questione è quella dell'aceto "balsamico" che fa sempre parte della categoria spiriti. Nel febbraio 2021, Lubiana ha notificato all'Ue una norma che permette di usare senza vincoli la denominazione. La Slovenia ha cercato di aggirare il sistema di tutela delle Dop e Igp e sta cercando di trasformare la denominazione "aceto balsamico" in uno standard di prodotto: in poche parole, qualsiasi miscela di aceto di vino con mosto concentrato si potrà chiamare aceto balsamico. Spiega Giacomo Ponti, imprenditore e vice presidente Consorzio Aceto Balsamico di Modena: «Stiamo aspettando una mossa da parte del governo italiano: dobbiamo portare in commissione la legge slovena e in Corte di Giustizia. Questa è stata un'operazione illegittima e totalmente in contrasto con i regolamenti comunitari che tutelano Dop e Igp e disciplinano il sistema di etichettatura e informazione del consumatore, il nostro aceto, infatti, ha già una legislazione: è un prodotto italiano legato a una tradizione millenaria ed esiste una protezione normativa ad hoc che esula dalla legge dell'aceto».

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