Nel corso degli ultimi decenni il settore vitivinicolo italiano ha conosciuto un continuo straordinario sviluppo, trasformandosi da comparto apparentemente avviato ad un inesorabile declino in un campo di attività estremamente dinamico e sempre più importante dal punto di vista economico così come in uno dei simboli dell’Italia nel mondo.
Il valore del made in Italy, com’è noto, nasce soprattutto dalla capacità di tante imprese del nostro Paese di coniugare in modo eccellente e creativo una grande sapienza nel manufacturing, cioè nel “saper fare”, con una altrettanto spiccata capacità di arricchire il contenuto dei propri prodotti con significativi valori immateriali, legati principalmente a fattori quali il design, il territorio di provenienza, la storia, il profilo personale del produttore. Nel campo del vino, mentre è ormai consolidata la conoscenza tecnica e la ricerca sul primo di questi due aspetti, non altrettanto si può dire per quanto riguarda il secondo, spesso ancora affrontato in modo sostanzialmente intuitivo.
Il convegno organizzato da Fondazione Cesifin-Alberto Predieri di Firenze "Il nuovo valore del vino" si è posto l’obiettivo di sviluppare alcune riflessioni su questo tema, ponendo attenzione su due aspetti principali, ovvero, da un lato, sulle modalità e la misura in cui gli intangibles – primo fra tutti il brand (sia aziendale che territoriale) – possono contribuire a definire il valore economico di una impresa vitivinicola; dall’altro, sull’emergere negli ultimi anni di nuove logiche di valutazione economica e di investimento. Un tema quest’ultimo di particolare attualità alla luce dell’impennata avuta negli ultimi mesi dalle operazioni di M&A nel settore del vino che, come riportato dal Wall Street Journal, nel 2020 hanno avuto a livello globale un valore superiore agli otto miliardi di dollari. In buona parte anche grazie alla sempre più forte presenza dei fondi di private equity, in cui investimenti nel vino, si stima, sia cresciuti in pochi anni del 75%.
Dall’analisi del database Mediobanca - che copre un campione di imprese che genera quasi il 50% del fatturato e oltre il 75% dell’export del settore - emerge inoltre che, a seguito del cosiddetto “decreto agosto” 2020, le imprese monitorate hanno effettuato rivalutazioni di attivi di bilancio per oltre 1,5 miliardi di euro e che tali rivalutazioni hanno riguardato per la gran parte (1,3 miliardi) asset immateriali. Ovvero che viene riconosciuta anche nei bilanci l’importanza del brand quale espressione della qualità del prodotto e della sua capacità di generare valore.
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