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Attenzione agli storici sbocchi di mercato ma necessità di focalizzarsi anche su nuove destinazioni di interesse e piccole nicchie. È quanto emerge dal “Focus On - Vino: quando il Made in Italy fa la differenza”, un’analisi sull’export del settore realizzata dall'Ufficio Studi SACE.

Il vino rappresenta un quarto dell’export del settore agroalimentare; un settore che ha saputo mantenersi in territorio positivo durante il picco della pandemia e che ancora oggi riporta ottime performance. Le vendite estere di vino, uno dei prodotti di punta del Made in Italy, sono continuate a crescere anche nel 2021 (+12,4% per un valore di €7,3 miliardi). Il Bel Paese si riconferma fra i primi Paesi esportatori, sia in termini di volume che di valore, grazie anche a una consistente crescita dei consumi di vino, trainata da geografie più consolidate come quella americana, ma anche da destinazioni meno presidiate, ma dall’alto potenziale (come per esempio Cina e Giappone).

Francia, Italia e Spagna si confermano i principali esportatori mondiali di vino in valore; la quota italiana cresce nel tempo e si assesta saldamente al secondo posto, mentre Parigi vede il proprio peso scendere sotto il 30%; segue Madrid, con il 9% delle vendite globali realizzate oltre i confini nazionali. A giocare a favore dei cugini d’oltralpe sono i prezzi dei vini, mediamente più alti di quelli italiani, in particolare nel confronto tra “bollicine” con lo champagne francese da un lato e il prosecco italiano dall’altro.

I dati in quantità, invece, mostrano un quadro differente, dove la quota maggiore è riconducibile alla Spagna (20,2%), seguita strettamente dal Bel Paese (20,1%), mentre la Francia rappresenta “solo” il 13,7%. Le esportazioni sono soprattutto il riflesso delle scelte dei consumatori e il vino è sicuramente uno di quei beni dove le preferenze individuali incidono significativamente sulle tendenze della domanda globale. Per questo motivo è stato condotto un esercizio che ha tenuto conto delle previsioni sui tassi di crescita medi dei consumi di vino per gli anni 2022 e 20236, incrociandole con la quota di mercato di vino italiano in un determinato Paese; sono stati quindi presi in considerazione i primi venti importatori di vino Made in Italy.

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In queste geografie il consumo di vini è atteso crescere nel biennio 2022-2023 in media del 3,1%, in riduzione rispetto al +3,8% previsto per il biennio precedente, frutto anche di una serie di incognite che gravano sui portafogli dei consumatori, non da ultimo l’intensificazione delle pressioni inflative, seppure in un contesto caratterizzato da un relativo rilassamento dei vincoli legati alla gestione della pandemia, almeno negli sbocchi più tradizionali.

Si confermano mercati dai consumi in crescita sia gli Stati Uniti (primo mercato di destinazione del nostro export di vini), sia quelle geografie (quali ad esempio Cina e Giappone), dove il valore delle vendite di vino italiano è già abbastanza rilevante, ma il presidio ancora non al pieno delle potenzialità. Nel Paese del Dragone, inoltre, le esportazioni italiane di vino potrebbero beneficiare degli effetti dell’imposizione da parte del governo cinese di tariffe molto elevate nei confronti dei vini australiani - in vigore da novembre 2020 e oggetto di disputa presso il Wto - che ridurrebbero pertanto la quota di vini australiani nel Paese a favore di altre denominazioni.

Spiccano in termini sia di crescita di consumi che di quota di mercato italiana Paesi verso i quali il nostro export in valore è inferiore alle maggiori destinazioni, ma comunque sbocchi “minori” dove le imprese italiane potranno cogliere sempre maggiori opportunità (Norvegia, Finlandia, Messico e, con le cautele del caso, Repubblica Ceca). La Germania, seconda geografia per valore del nostro export, vede un ottimo presidio da parte delle imprese italiane, sebbene i consumi di vino per il prossimo biennio siano sotto la media di previsione. Canada e Regno Unito rappresentano un buon connubio di consumi e quota di mercato, con un valore esportato che le posiziona al centro del quadro previsionale, con il Regno Unito un passo lievemente indietro per motivi, ancora una volta, legati agli effetti della Brexit.

Svizzera e Belgio si presentano come Paesi dove invece il nostro posizionamento enologico oltreconfine sembra destinato a flettersi: Berna, pur mantenendo un’elevata quota italiana di import mostra consumi di vino stabili per i prossimi due anni, mentre per Bruxelles, addirittura, i consumi sono attesi passare in territorio negativo. Seppure con la grande cautela dettata dalla contingenza e dal perdurare del conflitto bellico - ancora solo parzialmente “scontato” nei dati - il quadro prevede i consumi futuri di vino in Russia in contrazione, con una netta inversione di tendenza rispetto alla situazione pre-conflitto quando si prevedeva una crescita nell’ordine dell’1,6% per il biennio 2022-2023.

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Ciò che anche rende il vino italiano tanto apprezzato e richiesto all’estero è la specializzazione territoriale: ciascuna regione è di per sé un fiore all’occhiello, con peculiarità che si riflettono nelle numerose certificazioni Dop e Igp e, a sua volta, nei sempre più numerosi tentativi di sfruttamento illegale di origini e/o marchi noti da parte di produttori esteri (come ad esempio il Prosek croato o il Bolgaré bulgaro a richiamare, rispettivamente il Prosecco e i vini Bolgheri per cui si sono stati aperti contenziosi in sede europea).

 

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