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Il nome evoca qualcosa di sinistro. Ma non c’è motivo di allarmarsi. In fondo si tratta solo di cucina. Eccole le dark kitchen, il nuovo must dell’offerta gastronomica. Il ristorante senza ristorante, i piatti studiati su misura per un cliente che non si siederà mai al tuo tavolo e che non vedrai mai.

Le chiamano anche “cucine chiuse”. Non sono di certo in posti glamour. Spesso domiciliate in luoghi anonimi nessuno le vedrà mai. Nessun chef table, nessun contatto con la brigata. Efficienza garantita, però, oltre a una qualità al di sopra di ogni sospetto.

In teoria una meta-cucina, in pratica l’evoluzione del food delivery. Queste cucine segrete (niente a che vedere con gli speakeasy, che sono sì bar clandestini, ma accolgono i propri clienti) preparano pasti a regola d’arte e li consegnano - o fanno consegnare - a domicilio. Chissà che il prossimo passo non sia proprio il "dark bar" con la consegna domicilio del cocktail, o meglio degli ingredienti già pronti a cui aggiungere solo ghiaccio e seltz.

Spesso i menù sono a cura di cuochi conosciuti, che trovano un modo ulteriore di diversificare e rinsaldare i bilanci dei propri locali gastronomici. Altre volte le proposte gastronomiche sono curate da nutrizionisti ed esperti che offrono ai clienti piatti bilanciati ed energetici. In genere si è comunque di fronte a un’offerta di qualità e molto diversificata.

Il tramite tra cucina e cliente è - come ormai accade sempre più spesso - digitale. Una app che smista le richieste e organizza le consegne. Che sono il vero snodo: il servizio deve essere puntuale ed affidabile.

L’Italia è arrivata buon ultima ma anche noi abbiamo ora le nostre dark kitchen. A Milano - c’era da dubitarne? - ma presto anche a Roma. I primi a proporre il servizio sono stati gli inglesi di Rose & Mary, solida expertise sul mercato britannico. I loro cibi sono studiati da un nutrizionista: spesso senza glutine e senza farine o zuccheri raffinati, in molti casi prive anche di lattosio e con l’aggiunta di superfood.

Dal 2016 è attiva Foorban che propone ricette tipiche della dieta mediterranea e piatti dal gusto internazionale (in tutto più di 1000 ricette). In pausa pranzo sulla piazza milanese  ha consegnato oltre 150mila piatti. Inoltre la startup milanese è presente con il suo servizio nella sede milanese di Amazon. 

Pare che molte altre grandi aziende stiano valutando l’opportunità di aprire dark kitchen all’interno.

Normalmente però ci si affida per le consegne ai colossi del food delivery, da Deliveroo a Glovo e Uber Eats.

Il risparmio sui costi per chi decide di operare con una dark kitchen sono evidenti. Nessuna sala, poche spese fisse. Inoltre la digitalizzazione del servizio consente economie di scala grazie alla massa di dati raccolti su preferenze e profili dei clienti.

Insomma si schiudono le porte a un enorme business.La banca d’investimenti Ubs lo scorso anno nel rapporto “Is the Kitchen Dead?” Ha calcolato che il giro d’affari mondiale del food delivery è destinato a salire dagli attuali 35 miliardi di dollari a 365 miliardi di qui al 2030. Grazie all’incrocio del cibo on demand con la sharing economy. Un colossale cambio di parametri del mondo del cibo che è meglio conoscere per tempo.

Di tutte le possibili evoluzioni si parlerà a Milano nel corso di un incontro durante MAPIC FOOD 2019. I giganti della consegna a domicilio Uber Eats e Deliveroo analizzeranno, insieme ad un comitato di esperti, il boom di questo fenomeno (così come delle virtual kitchen, piatti preparati da ristoranti in anonimato) nel dibattito ‘Dark Kitchens: Redefining the Rules for Food Players’ che si terrà l’8 maggio. 

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