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18 Giugno 2024

La fotografia del vino italiano nell’indagine di Mediobanca (si beve meno ma meglio)

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di Redazione | in 
 Studi e Ricerche

Si beve meno ma meglio. È quanto emerge dal consueto studio di Mediobanca sul settore vinicolo. Analizzando i bilanci di 253 società di capitali italiane con fatturato 2022 superiore ai 20 milioni di euro e ricavi aggregati per 11,8 miliardi di euro, pari all'88,4% del fatturato nazionale del settore, lo studio riconosce nell'esercizio passato, il 2023, margini stabili (Ebit margin +1,4%, risultato netto su fatturato +4,2%) e conclude che "si beve meno (-4,5% le quantità vendute) ma meglio (+12,7% i vini di fascia molto alta)".

I maggiori produttori di vino si attendono per il 2024 una crescita delle vendite complessive del 2,6% e una crescita del 3% nelle esportazioni. Non si arresta l'ottimismo delle bollicine (+3,7% i ricavi complessivi), soprattutto oltreconfine (+6,8% l'export), mentre i vini fermi si aspettano un +2,3% (+2,2% l'export). 

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Nel 2023 - si legge nell'indagine - la produzione mondiale di vino è stimata in 237 milioni di ettolitri, in forte calo sul 2022 (-9,6%). Il consumo mondiale in 221 milioni di ettolitri (-2,6%). La rimodulazione della domanda, indotta dal ricambio generazionale e dal diffondersi di modelli salutistici così come dai cambiamenti climatici, hanno causato un calo dei consumi di vino rosso, passati da una quota del 51,3% medio nel periodo 2000-2004 al 48,3% del 2017-2021. In controtendenza i consumi di vini bianchi (dal 40% al 42,2% +2,2 punti) e quelli di rosé (dall’8,7% al 9,5%+0,8 punti). L’Italia segue la tendenza mondiale registrando -23,2% nella produzione rispetto al 2022 e -1,6% nei consumi, con 37,4 litri pro-capite all’anno). In attivo per l’Italia il saldo commerciale: in 20 anni è cresciuto a un tasso medio annuo del 5,5%, passando da 2,5 miliardi di euro del 2003 ai 7,2 nel 2023. L’Italia è il primo esportatore di vino in quantità (21,4 milioni di ettolitri nel 2023) e il secondo per valore (7,7 miliardi di euro dietro solo agli 11,9 miliardi della Francia)1 . 

Il 2023 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso senza variazioni significative (-0,2% sul 2022) con un leggero peggioramento sul mercato interno (-0,7%) rispetto a quello estero (+0,3%). Spiccano le buone performance oltreconfine dei vini frizzanti (+2,5%). L’Ebit margin ha riportato un aumento dell’1,4% sul 2022, il rapporto tra il risultato netto e il fatturato del 4,2%. Nel 2023, in diminuzione del 4,5% i quantitativi venduti su tutti i canali. L’inflazione ha eroso il potere di acquisto delle famiglie penalizzando i vini di fascia intermedia (-10,1% sul 2022) a conferma di una maggiore polarizzazione del mercato. In leggero calo i vini di fascia bassa (- 1,7%, con una market share del 44,2%). Mercato sempre più premium (+12,7% i vini di fascia molto alta sul 2022; market share del 18,6%) e sostenibile (+1,4% i vini biologici, 5,4% di market share; +9,6% i vini vegani, 2,7% market share, +1,8% i vini naturali, m.s. dell’1%).

Per quanto riguarda la composizione delle imprese Mediobanca ricorda che al controllo familiare spetta il 64,8% del patrimonio netto, quota che sale all’81,4% se si considerano anche le cooperative. Gli investitori finanziari partecipano al 10,9% dei mezzi propri: le banche e assicurazioni (5,2%) sono assenti nelle imprese più piccole, mentre i fondi di private equity (4,1% del patrimonio netto) partecipano nei capitali delle principali imprese vinicole indipendentemente dalla loro dimensione. Al diminuire della dimensione cala anche l’incidenza di possesso non italiano, pari al 7,6% dei mezzi propri. Trascurabile il rapporto con i mercati finanziari: solo due società sono quotate all’AIM dal 2015 (Masi Agricola e IWB). La sostenibilità, da migliorare. Solo il 34,9% delle maggiori imprese vinicole italiane redige un Bilancio di Sostenibilità (38,6% i produttori con più di 50 milioni di fatturato). Le principali motivazioni sono: la complessità del processo di validazione o consuntivazione (per il 26,8% delle imprese), mancanza di benchmark o best practice di riferimento (14,3%) la difficoltà a coinvolgere le funzioni aziendali rilevanti e carenza di competenze specifiche (10,7%).

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