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Mercoledì, 22 Giugno 2011

Vino Italiano, fondi Europei

di

I nostri produttori hanno imparato a usare i finanziamenti di Bruxelles. Con risultati record per l'export.

di Nicola Dante Basile

stupefacente. È l'aggettivo più adatto per definire le esportazioni 2010 di vino italiano nei Paesi extraeuropei: +12% a 3,9 miliardi di euro, con un'impen-nata in quasi tutti i principali Paesi (+28% in Canada, 42% in America Latina, +59% in Russia, +108% in Cina). Dati che vanno di pari passo con la conquista, con l'ultima vendemmia, del primato mondiale della produzione, grazie al sorpasso della Francia, con una produzione di 49,6 milioni di ettolitri contro 46,2 milioni. 1160% della produzione nazionale è rappresentato da vini di qualità (Docg, Doc e Igt). Il 2011 continua su questo trend, con un ulteriore aumento dell'export del 15%. Determinante si rivela l'attività promozionale, rafforzata dai fondi europei resi disponibili dalla riforma Ue del 2009 che ha introdotto tagli ai diritti di impianto e alla distillazione, ma ha anche dato via libera a contributi in conto capitale per la promozione nei Paesi extra-Ue. Le cifre sono ragguardevoli. L'Italia nel 2010 ha potuto disporre di 35 milioni di euro (per 30% su base nazionale e per 70% a livello regionale), che sono diventati 50 milioni quest'anno, per crescere a 82 nel 2012 e quindi a 107 l'anno successivo.

Lo scorso anno sono decollati 161 progetti per una spesa di 87 milioni. “Tutti i fondi disponibili sono stati utilizzati, a conferma della valenza della scelta Ue di sostenere la crescita di compe-titività delle imprese italiane e comunitarie sui mercati terzi” dichiara a Panorama Economy il presidente di Federvini, Lamberto Vallarino Gancia.

Fabio Carlesi, direttore generale dell'Ente Vini-Enoteca italiana di Siena,dice: «La promozione è essenziale. Ma è inimmaginabile pensare di andare in nuovo mercato e sfondare al primo colpo. Dell’apertura del mercato cinese si parla da anni, ma per il vino italiano era ancora un mercato dominato dai francesi. Ecco allora l'idea dare vita alla Shang wine consultino, azienda che controlliamo al 100%: una vera e propria scuola del vino, con corsi di degustazione, prove di abbinamento cibo-vino e comparazioni sensoriali tra il vino e il tè. La risposta è stata eccellente, anche in termini di contatti che siamo riusciti a organizzare tra imprese e importatori locali».

Dall'Ente vini che va in Cina al Consorzio dell'Asti spumante che ha puntato le antenne verso gli Usa. «Lo scorso anno il Consorzio» spiega il neodirettore Giorgio Bosticco «ha sostenuto un progetto in Usa, con campagne pubblicitarie ma anche promuovendo educational volti a spiegare le peculiarità dell'Asti spumante. La formula ha convinto tutti. Ecco allora che abbiamo deciso di allargare l'esperienza: quest'anno andremo in Russia, in alcuni Paesi dell'Estremo Oriente e in Australia». Stessa filosofia, stessa atona per le aziende che, se non vanno da sole e l'impegno è cospicuo, decidono di aggregarsi. Come hanno fatto le protagoniste del network consortile Italia del vino presieduto da Ettore Nicoletto, amministratore delegato del gruppo Santa Margherita, che vede fianco a fianco piccole e medie aziende come Medici e Sartori e grandi gruppi come Giv, Gancia, Sella & Mosca, Zonin. Aziende diversa per dimensioni, storia ed esperienze, «ma con un unico obiettivo: studiare progetti per dare risposte a nuovi e potenziali consumatori» è la tesi di Lorenzo Biscontin, marketing manager di Santa Margherita, che anticipa il commento di Massimo Tuzzi, responsabile dei mercati esteri di Zonin, secondo il quale «sta emergendo un nuovo modo di intendere e affrontare i mercati. La crisi ha scosso antiquati sistemi del fare impresa; le aziende che intendono restare sul mercato non hanno altra via che affinare la sensibilità alle richieste dei consumatori, quindi investire in prodotti che soddisfino la domanda sempre più globale e selettiva». Un principio che ha senso quando si approcciano i grandi Paesi di consumo, ma se si punta su un piccolo mercato? L'interrogativo se l'è posto, e l'ha risolto, Michele Radaelli, ad. della Caldirola di Missaglia, azienda da 55 milioni di euro di fatturato, che ha avviato un piano di investimenti per l'export puntando su mercati poco battuti. È andato in Serbia, «dove» spiega «già avevamo una discreta penetrazione, ma lo scorso anno abbiamo deciso di giocare alla grande la carta della promozione, cogliendo le opportunità offerte dalla Ue. E abbiamo triplicato le esportazioni>>.

PANORMAMA ECONOMY

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